Un fatto è assolutamente certo: la centralità dei trasporti è ormai un dato acquisito anche nella vita quotidiana dei cittadini, oltre che della politica, delle istituzioni, delle stesse aziende. Una questione come quella dei tassisti, che un tempo sarebbe stata derubricata a “vertenza di categoria” come altre migliaia consimili, oggi tocca anche il versante del cittadino-consumatore, che intravede (anche se, per il momento, in lontananza) qualcosa di simile all’esplosione dei viaggi low cost nel trasporto aereo, cioè l’esplosione esponenziale (con cifre stellari) di salire sugli aerei, un tempo considerati un privilegio di pochi e con un contorno di “status” da fare invidia ai comuni mortali (straordinarie le scene di film come quello di Di Caprio pilota della Pan Am o altri ancora). In questo numero di Mobility, Walter Tocci e Anna Donati confrontano le loro idee su una possibile riforma dei “nuovi servizi di mobilità urbana”, alias le vexate quaestio riguardanti appunto i taxi, Uber, gli NCC, la sharing mobility. Tocci è un ragionatore (oltre che, ovviamente, uno dei rari politici realmente esperti dei trasporti, soprattutto in ambito locale) che avrebbe fatto la felicità degli antichi filosofi, data la “geometrica potenza” del suo argomentare, che parte sempre da una premessa semmai anticonformista e poi si dipana in una serie di conseguenze e di proposte anche pratiche. Non è inutile ricordare che Walter Tocci fu uno dei pochi amministratori realmente innovatori dell’organizzazione del sistema dei trasporti romano, tanto che la sua esperienza di guida dell’assessorato nella giunta capitolina viene ancora considerata da alcuni un punto di esperimento, secondo alcuni pasdaran (termine da intendersi in senso affettuoso, e senza alcuna venatura polemica) addirittura insuperata. Gli fa da controcanto Anna Donati, che pasdaran (sempre nel senso di cui sopra) sicuramente lo è stata, non solo per la radicalità di alcune sue scelte quando ha avuto responsabilità pubbliche o di partecipazione a organismi decisionali, ma anche per la cultura ambientalista e di naturale attenzione a tutte le più avanzate esperienze di evoluzione non solo della mobilità, ma di un’intera prospettiva di sviluppo basata sui criteri della sostenibilità. Inutile riassumere i contenuti dei rispettivi contributi, le pagine che seguono servono appunto perché ognuno possa ritrovarvi motivi di interesse e di riflessione.

Non rappresenta un volo pindarico sottolineare che la riflessione sul destino dei trasporti riguarda anche la vita delle aziende, e in questo numero – in particolare – la ribalta tocca all’azienda della città di Parma, Tep, un’azienda (che, attraverso varie evoluzioni e vari nomi) alla fine vanta un’esperienza di 75 anni di operatività nel settore dei servizi di trasporto pubblico locale e che oggi potrebbe veder messa in discussione la sua storia e il suo radicamento cittadino, se venissero confermati gli esiti di una gara per l’affidamento dei servizi che l’ha vista “non vincitrice”.  Entrare nel merito delle gare che si stanno svolgendo in alcune parti d’Italia per gli affidamenti dei servizi di trasporto pubblico locale, significa entrare in una “quaestio” che, oltre che “vexata”, è esposta a troppe considerazioni e a troppe variabili derivanti anche dal fatto che il quadro del settore, al momento, non appare per niente chiaramente definito. Per quanto riguarda Tep (acronimo di Tranvie Elettriche Parmensi, un nome già significativo di un’eredità che affonda in un patrimonio storico), nelle pagine della rivista dedicate all’intervista del presidente Antonio Rizzi, si ritrova l’illustrazione dei risultati raggiunti da questa realtà aziendale, con punte decisamente d’avanguardia rispetto al panorama complessivo nazionale. Da sottolineare, anche per l’equilibrio e la trasparenza dei termini usati, la risposta che lo stesso Rizzi ha dato all’inevitabile domanda sulle conseguenze – per Parma e per l’azienda – degli esiti della gara, una volta che gli esiti stessi venissero confermati.

L’unico commento che, senza essere di parte, si può fare in relazione a questa vicenda è osservare che il settore del trasporto pubblico italiano è in una fase di trasformazione complessa, complicata e difficile che ha bisogno al più presto di trovare una “stabilità” – oltre che, ovviamente, una chiarezza – del quadro di regole e di convenzioni che devono disciplinare l’intero settore. Siamo, appunto, in una fase di trasformazione e questo obiettivo – purtroppo – appare per tante ragioni ancora lontano. Sono in corso da più parti (per un’associazione di categoria come ASSTRA, questo è praticamente un chiodo fisso) sforzi per dare al settore quell’auspicata certezza del quadro delle regole, delle modalità attraverso cui si deve svolgere effettivamente la contesa competitiva tra le aziende e, soprattutto, l’approdo cui devono tendere tutte le misure adottate, che non può essere – ovviamente – altro che l’obiettivo di migliorare la qualità del servizio offerto agli utenti e i migliori risultati in termini di gestione efficiente delle imprese. Nel frattempo, è impossibile non notare come, in questa fase di “passaggio”, convivano due (forse anche tre o quattro) Italie: città ed aziende che si mettono in gioco partecipando ad un meccanismo comunque “crudele” (senza alcuna particolare sottolineatura o venatura di alcun genere: lo è nei fatti, come in un qualsiasi evento anche sportivo che preveda un vincitore e un vinto) e città e aziende (semmai le più problematiche e criticabili, e ogni riferimento che può subito essere associato è assolutamente non voluto) che, invece, sembrano non preoccuparsi del “contesto” e continuano ad operare quasi non preoccupandosi del futuro. Parma è una città di così ampia civiltà e tradizione che, qualsiasi azienda vi svolga il servizio di TPL, non smetterà di progredire come merita e come i suoi concittadini vigileranno affinchè ciò avvenga, ma l’esperienza di questa città-modello non è inutile per una riflessione sull’equilibrio e sui destini del settore. Buona lettura.