Il trasporto ferroviario merci vuole diventare adulto, diventare un settore autenticamente industriale dove prevalgono le leggi del mercato, anche se il percorso da fare è ancora lungo perché la competizione sia effettivamente ad armi pari. Potrebbe essere questa la sintesi dell’edizione 2017 di Mercintreno, il tradizionale appuntamento che riunisce tutti gli operatori del del mondo del trasporto delle merci per ferrovia e che quest’anno si svolge nel clima diverso creato dall’ottimismo derivante dal buon andamento del settore. Grazie anche alla politica del governo, che ha finalmente adottato con coerenza le ricette della “cura del ferro”, le merci su rotaia stanno lentamente recuperando i livelli recuperando i livelli del passato, dopo che si è verificato un crollo “epocale” del 50% e l’operatore principale, Trenitalia Cargo, che ereditava la precedente situazione di monopolio ha – a seguito della liberalizzazione – operato una profondissima ristrutturazione, che ha comportato anche pesanti tagli alla produzione. Oggi il mercato presenta il volto di una pluralità di imprese concorrenti, la maggior parte riunite nell’associazione di categoria FerCargo (che ha dato vita anche ad un’associazione di settore specializzata, FerCargo Manovra), mentre la società del gruppo Ferrovie dello Stato Mercitalia, nata nel frattempo, è ancora l’operatore di maggior dimensioni, ma non è più l’operatore “incombente” del settore.

Tutto bene, quindi? Evidentemente no, e non solo perché pochi appuntamenti come Mercintreno sono riusciti e riescono a funzionare da ribalta per un confronto sulle problematicità del settore. Le merci su rotaia sono state sempre la “cenerentola” del mondo dei trasporti e hanno ovviamente accumulato un monte di problemi: in relazione alle regole della sicurezza, Fabio Croccolo, direttore della Direzione per le investigazioni ferroviarie e marittime (Digifema), ha parlato di “discrepanza modale”, ma il concetto potrebbe estendersi molto al di là. Un fattore decisivo per dare nuova vitalità al settore è stata la liberalizzazione, che ha fatto fatica ad imporsi (anche perché osteggiata all’inizio), ma che oggi sta portando tutti i suoi frutti in termini di spinta all’innovazione, processi aggregativi, pressioni da parte degli operatori che operano secondo le leggi della concorrenza e del mercato verso quei settori che resistono ancora in regime di monopolio, e che spesso sono attestati proprio in quel “ultimo miglio”, che oggi costituisce il fattore decisivo della logistica moderna. In molti porti o scali sopravvivono concessioni antistoriche, regole arcaiche, che determinano effetti paradossali, come il fatto che il costo della manovra in quell’ultimo miglio di binario finisce per costare oltre il 50 per cento (50 per cento!) del costo totale di un trasporto lungo semmai 300-400 chilometri (una “discrepanza modale” che costituisce la ricetta sicura per far vincere il camion). Sul piano infrastrutturale, la situazione – se possibile – è ancora peggiore: i porti che hanno raccordi ferroviari efficienti e in grado sviluppare effettivamente una logistica intermodale si contano sulle dita di una mano, quasi nessuno (in pratica, si comincia solo adesso, con investimenti ad hoc) ha i binari che arrivano direttamente alla banchina della nave o che consentono manovre ai convogli della lunghezza standard europea (750 metri). Per quanto riguarda gli interporti, una scriteriata politica delle amministrazioni locali ha consentito la nascita di centri di interscambio spesso dove non servono, mentre dove servono la logica del “non fare” ha impedito di realizzare le infrastrutture necessarie. Tuttavia, è in questo quadro – decisamente pessimistico -che le imprese ferroviarie merci sono state capaci di costruire una ripresa del settore e perciò la prima tavola rotonda di Mercintreno, coordinata da Pietro Spirito, presidente dell’Autorità di sistema portuale del Medio Tirreno, ha avuto come tema i processi di innovazione per “il consolidamento e lo sviluppo del traffico ferroviario merci”, e a confrontarsi sono stati alcuni tra i principali protagonisti del settore (Zeno D’Agostino, Matteo Gasparato, Guido Gazzola, Marco Gosso, Giancarlo Laguzzi, Antonio Malvestio, Bernardo Sestini).

Ultimo miglio ancora protagonista nella sessione dedicata alla manovra negli impianti ferroviari: il ruolo della manovra è spesso sottovalutato, ma è invece essenziale nell’organizzazione del trasporto ferroviario. La fine della gestione in regime di monopolio da parte di RFI-Rete Ferroviaria Italiana ha comportato una complessa serie di trasformazioni (su cui è intervenuta anche l’ART, l’Autorità di regolazione dei Trasporti), ma anche una serie di problemi per adattare le esigenze della efficienza e della produttività alle nuove regole: la gestione di un impianto ferroviario comporta tutta una serie di questioni legate alla sicurezza, alla competenza e al ruolo e alle figure professionali di chi ci lavora, e di questo hanno discusso – nella tavola rotonda coordinata da Andrea D’Ortensio – Elvi D’Angela, di FerCargo Manovra; Rosanna Simeri, di RFI-Rete Ferroviaria Italiana; Gaetano Riccio, del sindacato Fit Cisl; Emanuele Vender, amministratore delegato di DB Cargo Italia; Carlo Polderini, di Federmanager.

La sicurezza ferroviaria è un altro di quei temi centrali che non poteva mancare nei dibattiti di Mercintreno: nella tavola rotonda coordinata da Fabio Croccolo, si sono alternati Luca Becce (Assiterminal), Walter Serra (Assifer), Enrico Paoletti (Mercitalia), Amedeo Gargiulo (ANSF), Marco Terranova (SBB Cargo), Roberto Toscani (Binary Sistem). La sintesi forse più efficace di un problema, in realtà assai complesso, l’ha fornita Marco Terranova: investire in sicurezza è un dovere delle imprese e che non è in grado di investire in sicurezza non ha il diritto di stare sul mercato; ma le regole della sicurezza devono tener conto dell’evoluzione tecnologica e non possono utilizzare i parametri di cent’anni fa. E il caso esemplificativo sono le regole – divergenti rispetto al resto dell’Europa – che riguardano l’obbligo di avere il doppio macchinista alla guida dei convogli merci: una regola che non esiste appena al di là del confine (dove l’attenzione alla sicurezza ferroviaria non è certo minore rispetto all’Italia), che non si riesce a cambiare per il solito conflitto di competenze, le sovrapposizioni burocratiche e le mille complicazioni italiane, ma che rappresenta – come ha sottolineato Terranova – “un costo assolutamente non indifferente, (oltre il 10 per cento), un peso scaricato sulle spalle di un settore che ha già problemi di competitività, un regalo alla concorrenza del trasporto stradale e un incentivo ad usare quel camion che è poi il mezzo meno sicuro”. E dove – aggiungiamo – l’autista è rigorosamente solo, semmai per viaggi che superano le centinaia o migliaia di chilometri!