Per Ivano Russo, il rischio che la via della seta diventi la nuova araba fenice della logistica italiana, come – per troppi anni – lo è stato il mantra della “piattaforma logistica nel Mediterraneo”, è praticamente “pari a zero”, e la notizia può essere già di per sé consolante. Russo, diretto collaboratore di Delrio, partecipa ai tavoli di Bruxelles e ai bilaterali governativi Italia-Cina, e sa dunque di cosa si parla: il suo intervento al convegno, organizzato dal CEPIM Interporto di Parma proprio sul tema della “nuova via della seta”, ha fatto il punto sul tema e anche sui rpoblemi, che al solito non mancano.

Di via della seta si discute molto e anche il convegno del CEPIM ha dimostrato che l’interesse su questo nuovo progetto è altissimo. E le ragioni sono più di una; c’è, innanzitutto, l’immenso potere economico della Cina, che sul progetto ha invsetito capitali altrettanti immensi. La Cina poi è un continente, ma si muove come una nazione: in teoria, varrebbe come il Lussemburgo, ma le differenze sono evidenti. La Cina si muove poi con una rapidità sconvolgente, e fa seguire il fulmine dietro il baleno richiamando il Manzoni, nel senso che alla decisione segue subito dopo l’operatività concreta a  ritmi incalzanti.  Nessuno dubita, quindi, che la nuova via della seta si farà, ma questo non elimina i problemi, soprattutto da parte europea. Russo ha spiegato bene che la partita si gioca solo a livello europeo, che non a caso è stato costituito – nell’ambito della DG Move – un gruppo di lavoro denominato “European China Connectivity Platform”, e che quello è il luogo dove riuscire a sciogliere una serie di questioni. La via della seta, infatti, parte dalla Cina, ma ancora non si sa dove approdi nella parte finale sul nostro continente: per ora, la parte del leone la fa ancora una volta la Germania (i traffici oggi si concentrano sul percorso Brest Malazewicze-Ludwigshafen), ma questo è solo uno dei problemi. Più complesso è gestire la soluzione dei processi di interscambio: si tratta di armonizzare gli standard di sicurezza, ambientali e di vario genere tra Europa e Cina, ma anche – come ha detto al convegno un operatore – che “i treni arrivino carichi dalla Cina, ma ripartano anche pieni di prodotti europei al ritorno”.

Bastano questi pochi cenni per indicare che il tema è complesso e non è destinato a suscitare solo entusiasmi per “il ritorno alla rotta di Marco Polo” o l’afflusso di capitali provenienti dall’Oriente. Nonostante ciò – come sottolineava anche Russo – è evidente che il cammino della nuova via della seta è ormai tracciato e non è destinato a fermarsi: la Cina è la nuova fabbrica del mondo, tutte le statistiche mostrano che il flusso globale delle merci si sta inesorabilmente dagli Stati Uniti e dal continente americano verso gli immensi territori del Far East, dove si affacciano non solo giganti mondiali come Cina e India, ma anche paesi come le repubbliche ex sovietiche o gli stessi Iran e Turchia che associano ad una vivacissima economia, anche un grande patrimonio di materie prime. In questo contesto –  come ha spiegato (simpaticamente, ma molto efficacemente) Federica Santini, direttore Strategie di Italferr, la società di ingegneria e progettazione del gruppo FS Italiane – l’Italia “è piccola rispetto a competitor di dimensioni gigantesche, ma grande nella sua capacità realizzativa e di progetto” e riesce, quindi, a difendersi grazie alle sue capacità di penetrazione in quei mercati, alla rinnovata competitività dei suoi porti e alla generale ripresa che sta accompagnando questa fase di vita del Paese. E forse è la volta buona perché la via della seta non diventi di nuovo un vuoto espediente retorico, ma la chiave di volta per una svolta effettiva nella logistica italiana.