Bologna, 25 MAR – L’assessore alla Mobilità del Comune di Bologna, Andrea Colombo, ha risposto alla domanda d’attualità della consigliera Paola Francesca Scarano (Lega nord) sul piano per il bike sharing sul futuro accantonamento dello stesso.
L’assessore Colombo ha quindi riferito che nessuno ha intenzione di smantellare l’attuale servizio “C’entro in bici” con le circa 200 bici rosse e le 25 postazioni esistenti che invece rimarranno attive. Il sistema attuale sarà migliorato grazie alla nuova gara della sosta, che prevede a carico del futuro gestore Tper anche il progressivo rinnovo completo della flotta nel giro di 3 anni, in modo da garantire agli utenti, che tra l’altro sono costantemente in crescita, biciclette sempre nuove, più confortevoli e ben manutenute.
La discussione che si è aperta due settimane fa in Commissione riguarda invece l’ipotesi di sviluppare un nuovo servizio di bike sharing, con caratteristiche molto diverse rispetto a quello attuale, per dimensioni,1000 bici e 70 postazioni, facilità d’accesso con card elettronica anziché con chiave meccanica e modalità di tipo “aperto” invece che “chiuso”, ossia con la possibilità di prendere la bici in un punto e lasciarla in un altro, cosa oggi non possibile.
Ebbene, a proposito di questa possibile evoluzione del sistema, le valutazioni che hanno portato la Giunta a sospendere la realizzazione del progetto sono prettamente di natura economica. Come noto, infatti, i sistemi di bike sharing di ultima generazione, basati sull’utilizzo di tessere magnetiche, consentono un’elevata flessibilità. Per contro, proprio le caratteristiche tecniche di questi sistemi richiedono costi di allestimento e, soprattutto, di gestione e manutenzione molto elevati. Oltre alle attività di mantenimento in efficienza, sia delle bici che delle postazioni con i relativi apparati informatici, un peso rilevante è dato dalla necessità di assicurare costantemente, con un dispendio significativo di personale e mezzi, il riequilibrio delle biciclette nelle diverse postazioni, in conseguenza della possibilità di lasciare la bici in una postazione diversa da quella di prelievo. L’elemento critico della sostenibilità economico-finanziaria del progetto consiste proprio nella difficoltà di assicurare, in una prospettiva necessariamente di almeno 8-10 anni, una copertura effettiva dei costi gestionali di esercizio.
Ora, bisogna premettere che praticamente tutti i sistemi attivi in Italia e nel mondo prevedono che il gestore trattenga gli introiti tariffari del servizio che, tuttavia, generalmente coprono al massimo il 20% dei costi annui di esercizio, considerato che gli abbonamenti sono nell’ordine dei 30-50 euro all’anno e la prima mezz’ora d’uso è gratuita. Deve essere dunque chiaro a tutti che il bike sharing, al pari dei trasporti pubblici, è un servizio pubblico strutturalmente in perdita: i ricavi da tariffe sono del tutto insufficienti a coprire i costi gestionali e dunque, per garantire un equilibrio economico al gestore, sono indispensabili altre forme particolarmente onerose di contributo per sostenere il restante 80% di costi e lasciare un margine di utile di impresa al gestore, che quasi ovunque è un soggetto privato, che non è lì a fare beneficienza.
A questo riguardo, anche rispetto alle esperienze citate ed altre che sono state oggetto di analisi e studio, i possibili modelli gestionali di questi sistemi e di copertura del rimanente 80% di costi gestionali non coperto dai ricavi tariffari, possono essere così sinteticamente descritti.
In primo luogo vi sono sistemi in cui i costi annui di esercizio sono coperti assicurando al gestore un contributo pubblico diretto e a fondo perduto, come ad esempio a Barcellona: si tratta dell’ipotesi maggiormente onerosa per l’amministrazione pubblica, in quanto ha un impatto diretto e totale a carico del bilancio comunale.
Esistono, in secondo luogo, sistemi in cui i costi annui di esercizio sono coperti anche mediante la concessione dello sfruttamento di spazi pubblicitari al gestore del servizio per un numero significativo di anni, è il caso dei tre esempi italiani citati di Milano, Torino e Verona, ma anche di molte altre città europee, tra cui Parigi e Lione. A ben vedere questa è però una falsa soluzione, nel senso che anche in questo caso si tratta alla fine di un contributo, seppur indiretto, del Comune che, rinunciando ai proventi dati dagli spazi pubblicitari concessi, si trova poi ad avere una minor entrata in bilancio, il che è economicamente equivalente ad una maggiore uscita, pari a quegli introiti da pubblicità che oggi incassa e domani lascerebbe invece al gestore del bike sharing. Tra l’altro, non si può ignorare che il mercato della pubblicità stradale a Bologna è già oggi saturo, cioè l’offerta di spazi supera la domanda, a tal punto che negli ultimi due anni si è proceduto ad eliminare centinaia di spazi del tutto inutilizzati, motivo per cui non è certo ipotizzabile che al gestore siano concessi spazi pubblicitari aggiuntivi rispetto a quelli esistenti, appunto già in forte riduzione.
Da ultimo, vi sono in terzo luogo sistemi in cui, in tutto o in parte, i costi di esercizio sono coperti anche mediante la sponsorizzazione del servizio da parte di aziende o altri soggetti, che appongono i propri marchi commerciali su biciclette, postazioni, eccetera, è il caso, ad esempio, di Londra, New York, Chicago, Tolosa, Vienna. Questa è l’unica modalità veramente a costo zero per il Comune, ma purtroppo è assolutamente insufficiente: anche in base a contatti con potenziali sponsor, si è calcolato infatti che il grado di visibilità garantito dalle caratteristiche e dalle dimensioni della nostra città e dal relativo servizio di bike sharing porterebbe a un contributo dei privati in grado di coprire, nella migliore delle ipotesi, al massimo un quarto dei costi gestionali complessivi. Tra l’altro, di solito la durata della concessione del bike sharing (8-10 anni) è più lunga dei possibili contratti di sponsorizzazione (2-3 anni), per cui nel medio e lungo periodo il Comune rischia di trovarsi a dover garantire di tasca propria la copertura dei costi eventualmente non più sostenuti dagli sponsor dopo la fase di avvio del servizio.
Nel caso di Bologna, sono state vagliate tutte queste possibili soluzioni, anche integrate e mixate tra loro, senza però riuscire a trovare, almeno fino ad oggi, un punto di equilibrio tra le esigenze di sostenibilità economica del servizio e i limiti dati dal bilancio comunale, visto che nessuno poteva prevedere, a inizio mandato, che avremmo subìto tre anni di tagli indiscriminati da parte dello Stato e di vincoli soffocanti del patto di stabilità, che com’è noto stanno mettendo in discussione la stessa tenuta dei servizi esistenti.
Va detto infatti che il costo annuo di esercizio per il progetto da 1.000 bici e 70 postazioni è stimabile in almeno 2 milioni di euro: posto che gli introiti tariffari possono coprire, come detto sopra, al più il 20% dei costi, resta comunque una cifra assai considerevole da reperire, per forza di cose da individuare fra spese in ogni caso a carico del bilancio comunale, o direttamente, contributo, o indirettamente, concessione di spazi pubblicitari e rinuncia ai relativi ricavi attuali, e sponsor, che però, come visto prima, coprirebbero solo una parte residuale dei costi.
Detto ciò, Bologna rimane in ogni caso una città in cui un sistema di bike sharing seppur non di ultima generazione c’è ed è usato, basta vedere le postazioni vuote ogni mattina alla Stazione e in tanti altri luoghi; una città in cui la vera forza è un parco di decine di migliaia di biciclette private di residenti e fuorisede in costante crescita, mentre il bike sharing si rivolgerebbe soprattutto a city users e turisti, alla cui domanda si potrebbe pensare di rispondere anche con migliori e più diffusi servizi di noleggio anche privati e magari una velostazione; una città in cui l’ampliamento della rete ciclabile procede velocemente e con una qualità progettuale decisamente migliorata in termini di riconoscibilità, sicurezza e continuità, con +14 km di nuove piste ciclabili in due anni e mezzo, per un investimento di 4 milioni di euro; una città in cui il numero di ciclisti è aumentato di ben il +34% negli ultimi quattro anni, arrivando l’anno scorso a sfondare la soglia psicologica e sostanziale, a doppia cifra, del 10% degli spostamenti urbani fatti con le due ruote: di fronte a questi numeri e risultati, dunque, dispiace a tutti sospendere il progetto di un possibile servizio innovativo di bike sharing, ma non cambia le politiche di mobilità sostenibile e di promozione dell’uso della bicicletta messe in campo dal Comune”.