Da diversi anni a questa parte, maggio è il mese di passione di Alitalia. Entro il 30 aprile, le società quotate devono presentare i bilanci e Alitalia da tempo non conosce risultati che possano consentire un normale andamento societario, le ultime voci parlano di perdite che si avvicinano al milione di euro al giorno e di un deficit che nel 2016 sarebbe arrivato a 400 milioni di euro. E’ noto di come sia fallito l’ennesimo piano di ricapitalizzazione e come sia stato bocciato dal personale dipendente l’ennesimo piano industriale che proponeva l’ennesima cura da cavallo, con risparmi per circa 160 milioni, ma senza nessuna garanzia di una reale inversione di tendenza. Ora la ex compagnia di bandiera si avvia verso l’ennesima (come si vede, l’aggettivo si ripete con una puntualità sconcertante) gestione commissariale straordinaria, prodromica ad una ipotetica vendita o ad un’ulteriore operazione che veda la discesa in campo di un partner, sulla cui individuazione si è scatenata la fantasia dei giornali ma anche dei vari protagonisti coinvolti. Si è parlato della Cassa Depositi e Prestiti (e non si sa bene a che titolo, perchè la Cassa un partner industriale certamente non è e, dunque, dovrebbe “appoggiarsi” a qualche altro soggetto) e si è parlato anche del gruppo Ferrovie dello Stato Italiane, che nel frattempo i suoi bilanci li presenta regolarmente e con numeri addirittura eclatanti: un risultato netto pari a 772 milioni di euro, un dividendo distribuito all’azionista unico Ministero dell’Economia di ben 300 milioni di euro, un Ebitda (in pratica, il risultato della gestione operativa) record di 2,3 miliardi di euro, ricavi in crescita pressochè in ogni settore, piani di ristrutturazione e di investimenti per la ripresa anche in quei comparti finora risultati deboli, come il trasporto merci per ferrovia.

Insomma, un’impresa in piena salute che è riuscita anche a far dimenticare di avere alle spalle un risultato critico quasi come quello di Alitalia: nel mese di settembre 2006, amministratore delegato del gruppo FS viene nominato Mauro Moretti, ma il documento di bilancio di quell’anno riporta chiaramente che “il risultato consolidato 2006 evidenzia una perdita netta di 2.115 milioni di euro essenzialmente imputabile al deficit registrato dalla società Trenitalia”. Ciò che è avvenuto dopo è ben noto a tutti, ma non si può non rilevare come le Ferrovie dello Stato abbiano avuto una strategia (sfruttare, cioè, l’enorme progresso infrastrutturale rappresentato dalle linee Alta Velocità), mentre Alitalia è sembrata non accorgersi che doveva difendersi dall’assalto delle agguerritissime compagnie low cost, ma anche di questo nuovo concorrente capace di correre a 350 km sui binari. In questo quadro già di per sè complicato (se non complicatissimo), si sono aggiunti errori manageriali e scelte a tutt’oggi incomprensibili (Malpensa) e il risultato è sotto gli occhi di tutti, anche la semplice prospettiva di una ripartenza appare complicata e difficile. Nonostante ciò, un tentativo va effettuato, e non soltanto per garantire i sacrosanti diritti e le prospettive di migliaia di posti di lavoro, evitando semmai di avanzare soluzioni che sanno – ancora una volta – di improvvisazione. Ha senso proporre, ad esempio, una fusione FS-Alitalia? A lume di naso sembra di no, e non solo per le scarse prospettive industriali (diciamo così) dell’unione, ma perchè significherebbe ulteriormente appesantire il ruolo di un gruppo che è già nel mirino per una sua presunta “concentrazione” di potere simil-monopolistico, a prescindere se questo risponda a verità o no. Il gruppo FSI è già alle prese col problema di portare avanti la fusione con Anas, ma anche con la contraddizione non risolta del ruolo di possibile “campione nazionale” nel mercato del TPL in contrapposizione alle richieste di partecipazione più ampia di nuovi soggetti (cioè, di agguerriti concorrenti), appare difficilmente spiegabile la prospettiva di complicare ulteriormente il quadro mettendo insieme due modalità di trasporto che, per loro natura, sono concorrenti. Ma, al di là dell’ovvia constatazione che sembra una mossa dettata dalla disperazione, paradossalmente sembra la soluzione meno efficace per i destini della stessa Alitalia: il trasporto ferroviario ha raggiunto oggi livelli di straordinaria efficienza, ma sostanzialmente solo sulla direttrice Roma-Milano-Torino. Ma l’Italia è un’entità geografica del tutto particolare, un paese stretto e lungo, con un numero forse ineguagliato in Europa e nel mondo di centri cittadini vivaci, economicamente – o semplicemente socialmente – importanti. E qualcuno può ricordarsi che a Milano si può arrivare in due ore e mezza, ma Genova rappresenta ancora una meta per certi versi irrangiungibile, per non parlare di Palermo, Catania, Reggio Calabria?